Caro gabbiano stronzo che stasera all’ora del tramonto zampettavi felice sul Molo Audace, sono sicura che ti ricordi di me.

Sono la tizia in pantaloncini che ti ha tenuto sotto tiro per 15 o 20 minuti.

Ora posso dirtelo.

Volevo fare una foto super con un gabbiano che spiccava il volo e sullo sfondo la città, ammetto la mia colpa.

La luce era stupenda, tenue al punto giusto, e io speravo in una foto di quelle che appagano l’autostima, lo confesso!

Così ho scelto te, gabbiano stronzo; potevi essere l’inconsapevole protagonista di una foto super ma, appunto, inconsapevole.

Non a caso sei un gabbiano!

Dopo 15 minuti che tenevo l’inquadratura, pronta a scattare, ho iniziato pure a parlarti. Non avevo il coraggio di distogliere lo sguardo: se mi fossi distratta, lo so, saresti volato via lasciandomi col dito sullo scatto fallito e l’incazzatura esplodente.

Non sono stata gentile?

Eppure i minuti sono passati, la luce scendeva e io ti tenevo sotto tiro ma tu, imperterrito, tenevi lo sguardo fisso all’orizzonte senza spiccare il volo.

Stronzo di un gabbiano!!

Ti ho pure detto, ad un certo punto, che avevo una settimana di tempo per fotografarti, ma devi aver visto il mio bluff.

Le mie chiacchiere, le mie suppliche a un gabbiano perché prendesse il volo, hanno suscitato l’ilarità di un gruppo di giovani bivaccati lì vicino.

Come hanno detto?

“anni di evoluzione per arrivare a questo”

Effettivamente, a guardarvi mentre vi fate una canna, bivaccati sul Molo Audace, mentre mangiate kebap e bevete coca-cola dalla bottiglia di plastica, mi trovate d’accordo.

ps: quando ho rinunciato il gabbiano stronzo si è buttato in acqua.