Ode alla lentezza

il

Nelle scorse settimane ho letto un articolo contemporaneamente interessante ed agghiacciante sul numero 13/19 dicembre dell’Internazionale.

L’articolo si intitola “Accelerazione progressiva” e originariamente è stato scritto da Laurent Carpentier per Le Monde, ma io non pratico il francese quindi non ho letto l’originale.

Il sottotitolo dell’articolo recita:

“Si comincia ascoltando gli audiolibri in modo un po’ più rapido e si finisce per vedere film e serie tv a velocità doppia”

e in sostanza racconta di come tantissimi giovani abbiano iniziato progressivamente a usufruire dei contenuti digitali, audio o video, a velocità sempre maggiore per poter consumarne di più nello stesso tempo o per risparmiare tempo o per entrambi i motivi.

Nell’articolo vengono citati alcuni casi concreti, come quello di un ragazzino di 10 anni che ha un tempo contingentato dalla famiglia per usare il computer, così lo sfrutta al massimo guardando contenuti a velocità doppia (a questo punto mi sono complimentata da sola per non dare limiti di tempo ai figli sull’uso dei computer, cosa che produce altri problemi, ma va beh..).

L’articolo si pone anche un quesito di fondo che è, a mio avviso, il vero nocciolo della questione: è giusto assecondare il desiderio dell’utente a scapito dell’intenzione dell’autore?

Immagino quale sia la risposta. Chi si occupa di pubblicare contenuti e quindi guadagna dalla fruizioni di quei contenuti, ha l’obiettivo palese di venderne il più possibile: quindi darà retta all’utente che vuole agire sulla velocità. Chi si occupa di produrre i contenuti, invece, forse ha un’idea diversa e desidera che vengano consumati così come li ha concepiti.

Io, che di acqua sotto ai ponti ne ho vista passare a fiumi, amo gustarmi un film o un disco o un podcast alla velocità originale, senza fretta, e se ci vogliono due ore di tempo in mezzo ci consumo pure un bicchiere di buon vino.

Al di là di cosa metteranno a disposizione le varie piattaforme, a me non verrebbe mai in mente di aumentare la velocità di una serie-tv o di un qualunque altro contenuto audio o video; probabilmente è una questione di età, datemi pure della vecchia, ma io rimango dalla parte dei registi che hanno pensato a un’opera con un determinato respiro, un certo ritmo, certi spazi vuoti.

Ho letto l’articolo poi l’ho relegato in un angolo della mia memoria tra le cose che non mi interessano, finché l’altro giorno Netflix mi ha provvidenzialmente informato di avere inserito nel palinsesto “Chiamami col mio nome“, film del 2017 del regista italiano Luca Guadagnino e ho deciso di rivederlo (ho amato il film e ho amato il libro).

Ora, io voglio che qualcuno dei sostenitori della fruizione veloce dei contenuti, provi a guardare la scena finale di “Chiamami col mio nome, quella in cui Elio piange davanti al fuoco e l’inquadratura è dal camino, e le lacrime gli scorrono piano sul viso e si legge tutta la sofferenza e il dolore mentre alle sue spalle, sfuocati, i familiari sono intenti nei preparativi delle festività.

Come diavolo si fa a guardarla a una velocità anche solo di un pelo diversa da quella originale?

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. Mr Loto ha detto:

    Sono completamente d’accordo con te, qualsiasi film o telefilm visto a velocità doppia perde ogni sua qualità artistica e si riduce ad un misero e freddo racconto impersonale.

    Un saluto

    Piace a 1 persona

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